giovedì 7 febbraio 2013

L’Italia è morta!

L’Italia è morta! Anzi, in verità non è mai nata! Se non come farsa.

L’Italia è morta. Anzi, forse potremmo dire che non è mai vissuta davvero. Forse neanche mai davvero nata. Perché gli Stati nascono quando esiste un consenso, o un consenso potenziale, della maggioranza dei loro futuri abitanti, consenso all’inizio espresso, veicolato, e mostrato al mondo dai loro leader, e fondato su di un’identità condivisa. C’era un consenso certo nel 1291, nella Svizzera del patto fondativo; c’era nel 1581 tra sette delle diciassette province d’Olanda, che volevano liberarsi dell’oppressione dell’Impero di Filippo II. C’era nel 1776 tra le tredici colonie americane; all’inizio, non era diffuso, ma potenzialmente c’era eccome e crebbe enormemente tra il 1776 e il 1783. Nacquero gli Stati Uniti d’America. L’Italia nacque invece su inganno e violenza. La violenza unita all’inganno sottomise il Regno delle due Sicilie; l’inganno, unito ad una buona dose violenza espressa nelle modalità di svolgimento del plebiscito, la Venetia e Mantova nel 1866. Con la violenza i bersaglieri entrarono a Porta Pia nel 1870. I patrioti che difesero per anni il Regno delle due Sicilie dopo la conquista vennero definiti “briganti”. Ma morirono da eroi per la loro patria, e chi muore per la propria Patria non muore mai del tutto, non muore mai davvero. Con tutta la goffaggine di chi vuole imitare gli altri e smania per conquistarsi un Impero, l’Italia neonata volle contribuire ad altri genocidi, e dopo quello perpetrato al Sud – Fenestrelle, il lager sabaudo, non era che l’anticipazione di Auschwitz, perfino nell’esaltazione della forza liberatoria del “lavoro” – ne compì diversi in Africa, orribili. Agli storici ufficiali venne intimato di tacere. Poi ecco Angelo del Boca, classe 1925. E tutte le porcherie fatte dagli italiani in Libia ed Etiopia vennero fuori, le stragi con i vari gas, i bombardamenti sui civili. Quanti morti?Tanti. Ma anche i tentativi coloniali furono così maldestri, che la sconfitta di Adua fu, per tutta l’Africa, l’anticipazione, mezzo secolo prima, di tutte le decolonizzazioni a venire. Ce la possiamo fare, pensarono gli africani. Nel frattempo, l’Italia neonata, ma ancor prima di nascere, pensava a come liberarsi dei suoi abitanti “inutili”. Figure abominevoli, sotto ogni punto di vista, come Nino Bixio, viaggiavano nel Pacifico per trovare luoghi, possibilmente inameni, dove convogliare gli italiani inutili e improduttivi. Ancor prima del fatidico 1861. Quanti andarono via? Forse 27 milioni. Quasi la metà degli abitanti attuali dell’Italia, la metà esatta se si escludono gli emigranti, molti di loro bravissime persone, ma molti altri delinquenti e assassini fatti entrare solo per far aumentare il consenso al governo, o a giunte comunali criminali, come quella di Padova. La sorte dei migranti italiani è a tutti nota. Alcuni faranno fortuna, nel mondo nuovo, altri nel mondo nuovo neanche arriveranno, spolpati vivi dagli squali, ad esempio, nel Golfo del Messico. Poi la storia continua, la storia d’Italia, e si declina sempre più in farsa. L’Italia entra in tutte e due le guerre mondiali, in entrambi i casi tradendo bruscamente l’alleato di prima. Tragicamente, poi, si tratta dello stesso alleato, e la violenza cieca dei tedeschi nei confronti degli italiani tra 1943 e 1945 deriva anche da questo. Nella prima guerra mondiale, la più vergognosa ed inutile strage della storia, muoiono 600.000 “italiani”. Per “redimerne” 400.000 che poi, d’allora in poi, cercheranno in vari modi di tornare all’Austria. I feriti sono 2.000.000. Di loro poco si parla, dei torsi umani senza braccia né gambe, serviti come vivande sul banco del macellaio, nei vassoi immondi colorati di rosso bianco e verde. Anzi, si getta una cortina d’oblio su quei poveri mutilati e quei miseri morti, quasi tutti bambini, basti guardare le lapidi scolorite con i loro cognomi e nomi, in tante chiese del Veneto. Maciullati e dimenticati. Durante la seconda guerra mondiale si consuma una vera e propria guerra civile, ma perché sia chiamata con il nome che tecnicamente e naturalmente le spetta occorre attendere il 1992, un libro di Claudio Pavone. Nel frattempo l’Italia sacrifica qualche altra vittima sui suoi immondi altari, da far impallidire, per vergogna e nequizia, quelli dei Maya. Sono gli ebrei. Ne manda ai forni forse 6000. Neri, ebrei, “terroni”, “polentoni”, tutti assassinati. Manca qualcuno? Ad esempio i lavoratori milanesi massacrati dalle truppe sabaude – alla faccia della Padania che unisce – di Bava Beccaris. Gli orrori perpetrati dagli scherani del potere fanno rabbrividire i tenutari del potere stesso, Umberto I si risente (e pagherà con la vita le colpe di quel macellaio) tanto quanto perfino Mussolini, certo non un cuore tenero, inorridisce all’udire le funeste imprese di Graziani in Africa. Devastata dalla guerra, come quasi tutta l’Europa, l’Italia cerca di rinascere. Una dittatura dal 1861 al 1945, vuole risorgere su basi nuove. Ci prova, anche eroicamente, perché molti dei partigiani furono vero eroi, perché molti dei costituenti erano uomini davvero perbene. Ma gli errori sono tanti, proprio perché le basi originarie mancano e non si possono costruire ex-post. Viene sottoposto a referendum l’assetto politico futuro, ma non la Costituzione. Come lo statuto albertino del 1848, viene imposta al popolo. Questo errore non lo ripeterà la Spagna, ad esempio, trent’anni dopo, ma neanche l’Iraq pochi anni fa. La Costituzione è un documento complesso. E’ un patto di sottomissione perpetuo di un territorio e dei suoi abitanti ad un governo centrale, ma non sottoposta ad un referendum, non è veramente sottoscritta dal popolo. E’ un contratto firmato da una parte sola. Tecnicamente, ancora una volta, è una charte octroyée anche se non la concede più formalmente un re. Parte molto male. Ad un osservatore estraneo, che guardi dal punto di vista dell’effettività e non della normatività di una legge, anzi, di un principio, “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” suona strano. Perché “fondata sul lavoro”? Il lavoro lo possono esercitare anche le macchine. E tutti coloro che sono disabili, vecchi, malati, bambini? Su di loro la repubblica non si fonda. Il concetto di “lavoro” non era neutrale nel 1948: per quanto resa incerta, alla vista, dal fumo dei suoi camini, Auschwitz si apriva con un cancello su cui era scritto “Il lavoro rende liberi”, e allora si sarebbe dovuto fondare su qualcos’altro, ad esempio sull’”individuo” (come nella costituzione del Kazakhstan), questa “repubblica democratica”. Se è vero poi quel che segue, che “la sovranità appartiene al popolo”, allora perché solo “nelle forme e nei limiti” della Costituzione? E’ una contraddizione patente. Insomma o governa il popolo, o governa una carta. Se davvero questa carta vuole governare, allora avrebbe dovuto essere sottoscritta dal popolo. Ma così non è. Le mostruosità poi abbondano: si veda l’art. 75, che disciplina il referendum abrogativo: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.” Ovvero, possiamo ipotizzare un governo che imponga con una legge il 100% di tassazione, e tale legge non è sottoponibile a referendum abrogativo. Le contraddizioni sono infinite. Come si concilia quest’articolo con quello che regola la tassazione in generale, basata sulla “capacità contributiva”? Vi sono poi però aperture straordinarie: all’articolo 10: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.”. Ecco aperta la strada per il referendum che riporterà il Veneto alla libertà, ad esempio, a ritornare ad essere la Repubblica Veneta. Senza rendersene veramente conto, l’Italia si piega al volere del mondo, dei popoli che lo compongono. A qualcuno dei costituenti più accorti questo però sarà balenato alla mente (e al cuore). Il diritto internazionale viene riconosciuto come istanza più alta, senza che ci si renda conto che questo equivale a veder un giorno la fine di tale Costituzione stessa. D’altra parte, e quella diWeimar (tragicamente però) lo dimostra, quasi tutte le Costituzioni hanno dei meccanismi di autodistruzione inseriti al proprio interno. E’ un documento vecchio, quasi antico, la Costituzione italiana. Le costituzioni dovrebbero vincolare per una generazione al massimo. O meglio, non esserci neppure. Israele, che nacque esattamente negli stessi anni dell’Italia, non se ne è data una. E’ un documento vecchio, scritto da morti che vogliono costringere dei vivi a condividere le loro proprie speranze, le loro proprio paure, le loro fobie, la forma della loro mente. E poi, è violata ogni giorno: c’è pieno di abominevoli leggi retroattive, e che l’Italia sia “una ed indivisibile” è dottrina e precetto molto elastico, ad Osimo nel 1975 venne siglato un vergognoso trattato che però mostrò bene come l’Italia fosse “divisibile” eccome. Eppure, dopo la distruzione del 1945 vi furono (pochi) decenni di rinnovata energia. Ma le basi di quella rinascita erano troppo labili, era il capitale americano, era la voglia di vivere finalmente liberi, erano congiunture internazionali non riproponibili, era il capitale umano di uomini che si erano temprati combattendo un dittatore, e non volevano diventare uguali a quello, erano meteore inarrivabili, come Luigi Einaudi. Era, anche, un livello impositivo molto più basso di quello di oggi. Ma non si tratta di una mera questione fiscale. L’Italia fascista non era morta nel 1945. L’Italia, nata fascista, doveva continuare ad esserlo per non smembrarsi. E allora ecco che nascono le nuove categorie, nasce il “terrone”, si consolida l’odio tra Sud e Nord perché voluto da una classe politica alimentata dalla mafia, che vuole dividere per governare, operando una forma orrenda di “dumping”. Uccide, lentamente, l’economia del Sud, per poter poi sempre fungere da intermediaria nella, necessaria, redistribuzione delle risorse. Dopo aver compiuto il sacco del Sud, dal 1861 al secondo dopoguerra, appresta quello del Nord, nei modi e nelle cifre mostruose che di recente ha esposto agli occhi del mondo Luca Ricolfi. Naturalmente deve aggiungere un sovrappiù ideologico, e allora inventa “terroni” e “polentoni”. Incrementa un odio inesistente, e lo rende vivo. E’ l’unico modo per continuare ad ingrassare. Tutto questo è stato portato alla luce del sole da storici come Nicola Zitara, e reso perfino pubblica a livello di best seller, ovvero di coscienza popolare, da Pino Aprile. Poi Pino Aprile può anche decidere di voler salvare l’Italia, ma “Terroni” vive aldilà degli orientamenti presi dopo dal suo autore. “Terroni” ci dice che l’Italia deve finire. L’Italia era insostenibile dal 1861. Avesse prevalso Cattaneo, forse, forse, un sistema federato sarebbe durato di più. Ma insigni costituzionalisti come il mio collega Bertolissi a Padova insegnano che per avere una federazione prima occorre avere entità statuali indipendenti che decidano di federarsi. Cattaneo se ne morì triste in Svizzera. Non era quella l’Italia per cui aveva rischiato la vita, e non era più in giovincello, nelle Cinque Giornate. Dov’erano gli stati indipendenti, dopo il 1870, che potessero liberamente federarsi tra di loro? Tutte le ciance sul federalismo in Italia e per l’Italia avrebbero potuto essere evitate, se solo si fosse riflettuto su queste banalissime verità. Ora che la farsa ha preso tutti i contorni che le sono propri, nessuna maschera ideologica, nessuna finzione regge più. A metà Ottocento scomodarono Lombroso, perché vedesse nei “briganti” i criminali nati, e desse una giustificazione eugenetica al loro sterminio. Ora, nel 2012, scomodano Abatantuono, che prende in giro l’imprenditore veneto. Mentre l’imprenditore veneto, che ha sostenuto una baracca insostenibile con il suo sovrumano lavoro, si suicida. Forse Abantatuono viene messo in campo perché gli imprenditori che si suicidano non siano guardati con la compassione che meritano, come Lombroso, che rese accettabile lo sterminio dei patrioti del Sud. Ma invece guardiamo a loro con amore, guardiamo alle loro famiglie con more e pietà cristiana. Loro, e i pensionati che si ammazzano perché non ce la fanno più ad andare avanti, sono gli ultimi morti di questa immonda creatura vorace, di questo vampiro sdentato, di questa disgraziata entità politica. Ed ecco che il valzer di morte che accompagna l’incerta creatura Italia dal 1861, o dal 1854, ad oggi, compie i suoi ultimi giri. E’ suonata la sua campana. Non solo a Venezia il 6 ottobre. E’ suonata nelle nostre coscienze e nei nostri cuori, nelle nostre menti, e nelle nostre azioni.

di PAOLO L. BERNARDINI Professore ordinario di Storia moderna, Università dell’Insubria – socio di “Indipendenza veneta”

domenica 12 agosto 2012


La ricerca della felicità (The Pursuit of Happyness)

Molto spesso incontro persone infelici, persone che sono alla ricerca della felicità. Sono convinte che basti avere soldi per essere felici, oppure sono deluse del proprio lavoro e che basti cambiarlo per avere più successo. Vorrebbero comprare un’auto o una casa più bella o scarpe e abiti firmati. A queste persone, dico di smetterla di illudersi, la felicità non si può comprare con i soldi, come viene pubblicizzato dai media ogni giorno, la pubblicità in televisione, giornali o altro, non fanno altro che vendere desideri. “La felicità non è di questo mondo”. Tutti noi siamo programmati per inseguire uno stile di vita che è reale solo nella nostra fantasia. Finché non prendiamo consapevolezza di questo e non cominciamo a cambiare stile di vita saremo sempre infelici. Se volete essere amati, dovete prima amare, ma amare di un amore incondizionato. Amate chi vi circonda, chiunque, di qualsiasi etnia sesso o religione, amate la natura e gli animali.

A tutte queste persone dico che la felicità sta nelle cose semplici, di guardarsi attorno ed amare ciò che possiedono e non desiderare ciò che non hanno. Frenate, fermatevi, fate una pausa, ogni tanto e osservate la natura, annusare un fiore, ascoltare il canto degli uccelli, la pioggia, il vento, la neve, ma anche il sorriso di un bambino ci può rendere felici, aiutare qualcuno in difficoltà, l’abbraccio di un figlio, di una persona che ami, prendetevi questo tempo, sono solo pochi secondi della vostra giornata. Ho avuto una educazione cattolica, ma non sono molto credente, ma ogni giorno quando mi sveglio, ringrazio non so bene chi, di esserci e della splendida giornata che mi si presenterà. Naturalmente con tutte le sue difficoltà, ma vi dico che se, nonostante tutti i dolori e tutti i dispiaceri che vi si presenteranno, penserete che la vita è bella allora sarete felici perché lei non è riuscita a sconfiggere la vostra voglia di scoprire ogni giorno cosa vi regalerà il domani.

Questo non significa non perseguire, oggi domani e sempre i propri obiettivi, senza però aspettarci troppo da essi, non credere che il raggiungimento del proprio obiettivo sia il traguardo della felicità. Essere felici è uno stato d’animo un modo di sentirsi, come la libertà, la gioia, l’amore non sono cose materiali e non si possono comprare. Come tutti gli stati d’animo, oggi posso essere felice da toccare il cielo con un dito, domani posso essere meno felice. Se un giorno sei triste e vorresti morire, pensa a chi sta su un letto di ospedale, sta morendo e vorrebbe vivere.









martedì 8 maggio 2012


http://www.lindipendenzanuova.com/wp-content/uploads/2012/06/antonio-mastrapasqua-300x180.jpgSe esistesse un Don Abbondio dei nostri tempi, alla domanda: “Chi e' Antonio Mastrapasqua?”, non potrebbe rispondere come a proposito di Carneade. Potrebbe, incrociando le braccia dietro la schiena, rispondere soltanto cosi': “beato lui”.
Antonio Mastrapasqua e' infatti, fino a prova contraria, un recordsman, un imbattibile. Non per il reddito che, diciamocelo francamente, non e' nemmeno paragonabile a quello della ministra guardasigilli Paola Severino, che vanta circa 7 milioni all'anno. Ottenuti spellando vivi i suoi clienti di cause legali variopinte. I quali, potendo pagare quel po po' di parcelle, devono essere, a loro volta, degli spellatori dei rispettivi clienti.
Il povero Antonio Mastrapasqua guadagna soltanto 1,2 milioni di euro all'anno, circa 4,4 miliardi di vecchie lire. Ma la differenza sta nel fatto che gran parte dei suoi redditi il nostro ex Carneade la spilla dal denaro pubblico, o semipubblico. Anzi la spilla utilizzando i denari del pubblico, in prima battuta: in qualita' di Presidente dell'Inps. Benemerita e perfettamente legale attivita', per la quale e' stato nominato dal governo. Da quale governo non importa, essendo stati, in questi decenni, tutti uguali. Se non fosse che l'elenco delle sue presidenze, vice-presidenze, include anche Equitalia, la nota impresa cacciatrice di evasioni, anch'essa di fatto pubblica, poi Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud.
E fanno cinque. Invito i lettori a immaginare quante poltrone possono essere distribuite stando in posti come quelli, quante prebende se ne possono ricavare, quante alleanze si possono inventare e gestire. Sarebbe interessante, ma non abbiamo tempo di farlo noi, andare a vedere quali gettoni e quanti ricava dalle riunioni dei rispettivi consigli di amministrazione. Ma ancora piu' interessante sarebbe fare i conti del tempo che impiega nel partecipare agli stessi. Non sono noccioline, sicuramente. La cosa piu' inverosimile e' il tempo. Quante ore ha il giorno di Antonio Mastrapasqua? Dobbiamo chiedercelo, perche', altrimenti, dovremmo giungere alla conclusione che Mastrapasqua e' un banale truffatore, che prende stipendi a tradimento. E noi questo non osiamo neppure pensarlo.
Ma continuare nell'elenco offre amene sorprese. Perche' Antonio Mastropasqua e' anche dirigente di Italia Previdente, di Eur Spa, di Eur Tel, di Eur Congressi Roma, di Coni servizi Spa, di Autostrade per l'Italia, di Fandango, di Telecom Italia Media. E fanno tredici. Allora uno si pone questioni che sconfinano dalla finanza alla filosofia. Ma quali sono le caratteristiche morfologiche del signor Mastrapasqua? Qual e' la sua intima natura? Altro che Carneade! Qui ci vuole uno studioso di antropologia. Siamo di fronte a un personaggio epico, leonardesco, poliedrico, fantastico. A vederlo non sembra un superuomo, anche se si sa che frequenta associazioni di canottieri sulle rive del Tevere, avendo come vicino di armadietto Paolo Garimberti in persona. Con queste capacita', infatti, dev'essere in grado di condurre, da solo, un “otto con timoniere”, poiche' deve avere, sotto la giacchetta, non due ma sedici braccia, capaci di firmare simultaneamente assegni bancari, documenti riservati, relazioni di attivita', dare ceffoni ai figli, se ne ha, sorreggere la moglie (che, a sua volta, controlla i conti della Rai, cioe' porta a casa un altro sontuoso stipendio e ulteriori gettoni di qualche altro consiglio di amministrazione di ente benefico). Ma voi non penserete che sia finita qui, spero. L'elenco dell'infaticabile moltiplicazione dei pani e dei pesci di questo divo del lavoro non si ferma a tredici. Lui e' anche nel consiglio di amministrazione di Quadrifoglio, di Telenergia, di Loquendo, di Aquadrome. E fanno diciassette.
Avete presenti i dendriti? Sarebbero quelle strutture ramificate dei cristalli, che riproducono processi di infinita moltiplicazione, si manifestano sullo schermo di un computer, dando l'impressione di precipitare nell'infinitamente piccolo. Ecco, Antonio Mastrapasqua e' probabilmente un dendrite umano, anzi disumano. Una specie di virus capace di insinuarsi in ogni piega della pubblica amministrazione e dei suoi derivati parassitari, succhiando da ogni cellula qualche cosa. Esistono virus di questo tipo, che si raddoppiano ogni venti minuti e che possono addirittura evolversi, raddoppiando. Ma temo che nemmeno questa escursione matematica sia adeguata alla fantasmagorica capacita' di Mastrapasqua. Il quale e' anche nel consiglio di amministrazione, o forse revisore dei conti, o magari presidente onorario (sempre a gettoni, s'intende, come immagino probabile) di Mediterranean Nautilus Italy, di ADR Engineering, di Consel, di Groma, di EMSA Servizi, di Telecontact Center, di Idea Fimit SGR. E fanno ventiquattro (24).
Da questo approdo, nel quale ci si puo' gettare in mare, sconsolati, si potrebbe anche tentare di salpare verso altri lidi. Ma da quale abisso d'indecenza proviene questo quadro? Non parlo del dendrite Mastrapasqua. Egli altro non e' che il ritratto dell'individuo infelice e avido, afferrato dalla coazione al denaro e al potere. Pensate alla tristezza sconfinata di uno che ha a che fare con tutta quella gente; che deve vivere in mezzo agli squali; che non ha neanche un minuto di tempo per fare un sudoku in bagno; che morira' straricco senza poter confessare a nessuno di avere vissuto.
Penso a chi ha permesso tutto questo. A chi ha messo al vertice dell'Inps, cioe' a tutela del lavoro di milioni e milioni di italiani, un manichino di questa fatta. Mastrapasqua e' il ritratto fedele di una classe dirigente. Da questa gente non potremo ricavare nulla di buono per noi.
Questi non sono riformabili, non sono emendabili, non sono nemmeno scusabili. Sono soltanto pericolosi. Vanno cacciati via. A forconate, se non c'e' altro modo.
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/news1.php?id=192
di Giulietto Chiesa 04/05/2012

domenica 29 gennaio 2012



L’isola dei Naufraghi e la favola del Signoraggio
di Louis Even

1. Salvati dal naufragio

Un’esplosione ha distrutto la loro nave. Ognuno si aggrappava ai primi pezzi flottanti che gli capitano sotto le mani. Cinque sono riusciti a trovarsi riuniti sullo stesso relitto che le onde spinge a loro volontà. Degli altri compagni del naufragio alcuna notizia. Da ore, lunghe ore, scrutano l’orizzonte: qualche nave in viaggio li vedrà? La loro zattera di fortuna approderà su qualche riva ospitale? Ad un tratto, si sente un grido: Terra! Terra laggiù! Guardate! Proprio nella direzione che le onde ci spingono! Ed a misura che si disegna, in effetto, la linea d’una riva, i visi si rallegrano. Essi sono cinque: Francesco, il grande e forte carpentiere, che per prima ha gridato: Terra! Paolo, coltivatore, è quello che voi vedete avanti a sinistra, inginocchiato, una mano a terra e con l’altra si tiene aggrappato al palo del relitto. Giacomo, specialista per l’allevamento di animali; è l’uomo con i pantaloni a righe, il quale, inginocchiato guarda verso la direzione indicata. Enrico, dottore in agraria, un pò grassotto, seduto su una valigia salvata dal naufragio. Tommaso, ingegnere mineralogista, è il pezzo d’uomo in piede, indietro, con la mano sulla spalla del carpentiere.

2. Un’isola provvidenziale

Rimettere i piedi su una terra ferma, per i nostri uomini è un ritorno alla vita. Una volta asciugati e riscaldati, il loro primo pensiero è di fare conoscenza con questa isola dove sono stati spinti lontani dalla civilizzazione. Questa isola la battezzano col nome: L’Isola dei Naufraghi. Un rapido giro sull’isola colma le loro speranze. L’isola non è un deserto arido. Essi sono i soli uomini ad abitarla attualmente. Ma altri hanno dovuto viverci prima di loro e lo capiscono dal fatto che hanno incontrato qua e là sull’isola greggi semi selvaggi. Giacomo, l’allevatore, afferma che potrà migliorarli e trarne un buon rendimento. In quando al suolo dell’Isola, Paolo lo trova in gran parte assai propizio alla coltura. Enrico ha scoperto alberi fruttiferi e spera poter ottenerne grande profitto. Francesco vi ha notato sopratutto le belle distese forestali, ricche in legno di ogni specie: sarà molto facile abbattere alberi e costruire ricoveri per la piccola colonia. In quanto a Tommaso, l’ingegnere, ciò che lo ha interessato è la parte la più rocciosa dell’Isola. Egli vi ha notato molti segni indicando un sottosuolo molto ricco di minerali. Nonostante la mancanza di attrezzi perfezionati, Tommaso crede avere abbastanza iniziativa e scaltrezza per trasformare il minerale in metalli utili. Ognuno potrà dunque occuparsi alle sue opere favorite per il bene della comunità. Tutti sono unanimi a lodare la Provvidenza per lo scioglimento relativamente felice d’una grande tragedia. 

3. Le vere ricchezze

Ecco i nostri uomini al lavoro. Le case ed i mobili sono costruiti dal falegname. Nei primi tempi, ci siamo accontentati di alimenti primitivi. Ma ben presto i campi coltivati danno buoni raccolti. Stagioni dopo stagioni, il patrimonio dell’Isola si arricchisce. Egli si arricchisce non d’oro o di denaro stampato, ma di vere
ricchezze: cose che nutrono, che abbigliano, che ricoverano, che rispondono ai veri bisogni. La vita non è sempre facile come vorrebbero. Ad essi mancano tante cose alle quali erano abituati nella civiltà. Ma la loro sorte potrebbe essere molto più triste. D’altronde, essi hanno già conosciuto tempi di crisi in Canada. Essi ricordano le privazioni a cui sono stati sottoposti, mentre che i magazzini erano pieni a dieci passi dalla loro porta di casa. Almeno, sull’Isola dei Naufraghi, nessuno li condanna a vedere marcire, sotto i loro occhi, cose di cui hanno bisogno. Poi le tasse sono sconosciute. Non c’è da temere i sequestri. Se il lavoro è duro talvolta, almeno si ha il diritto di godere dei frutti del lavoro. Insomma, sfruttano l’Isola, benedicendo Dio, sperando un giorno di poter ritrovare parenti ed amici, con due grandi beni conservati: la vita e la salute.

4. Il maggiore inconveniente

Il nostri uomini si riuniscono spesso per discutere dei loro affari. Nel sistema economico molto semplice che essi praticano, una cosa gli ritorna in mente sempre più: essi non hanno alcuna specie di moneta. Lo scambio, diretto di prodotti con prodotti, ha molti inconvenienti. I prodotti da scambiarsi, non si trovano sempre l’uno in cambio dell’altro nello stesso tempo. Cosi avviene che la legna consegnata al coltivatore durante l’inverno, potrà essere rimborsata in legumi soltanto fra sei mesi. Molte volte viene consegnato di una sola volta un grosso articolo, da uno degli uomini, ed in cambio, vorrebbe differenti piccoli articoli, prodotti da parecchi altri uomini, ed in epoche differenti. Tutto questo complica gli affari. Se vi fosse denaro in circolazione, ognuno potrebbe vendere i suoi prodotti agli altri in cambio di denaro. Con la moneta ricevuta si potrebbero comprare dagli altri le cose che si desiderano, quando le si desidera e quando vi sono. Tutti sono d’accordo a riconoscere la comodità di possedere un sistema monetario. Ma nessuno di loro sa come stabilirne uno. Hanno imparato a produrre la vera ricchezza, le cose. Ma non sanno fare i simboli, il denaro. Essi ignorano come il denaro si crei e come farlo nascere quando non ce n’è e come si decide insieme di averlo… Senza dubbio molti uomini istruiti sarebbero altrettanto nell’imbarazzo. Tutti i nostri governanti lo sono stati negli anni prima della guerra. Solo il denaro mancava al paese ed il governo restava paralizzato di fronte a questo grave problema.

5. Arrivo d’un rifugiato

Una sera che i nostri uomini, seduti sulla spiaggia, parlano per la centesima volta di questo problema, all’improvviso vedono avvicinarsi una barca guidata da un solo uomo. S’affrettano ad aiutare il nuovo naufrago. Gli offrono le prime cure e discorrono. Apprendono che è un Europeo, il solo sopravvissuto di un naufragio. Il suo nome: Martin, Golden. Felici di avere un altro compagno, i cinque uomini lo accolgono con calore e gli fanno visitare la colonia.
— “Malgrado che siamo sperduti e lontani dal resto del mondo, gli dicono, non siamo proprio da compiangere. La terra rende molto bene ed anche la foresta. Una sola cosa ci manca: non abbiamo denaro per facilitare lo scambio dei nostri prodotti.”
— “Benedite l’azzardo che mi ha portato qui! risponde Martin. Il denaro non ha misteri per me. Io, sono un banchiere ed in poco tempo posso installarvi un sistema monetario che vi darà soddisfazione.”
Un banchiere!… Un banchiere!… Un angelo venuto direttamente dal cielo non avrebbe ispirato più di reverenza. Nei paesi civilizzati tutti sono abituati ad inchinarsi davanti ai banchieri che controllano le pulsazioni della finanza.

6. Il dio della civiltà

— “Signor Martin, poiché siete banchiere, voi non lavorerete sull’Isola. Vi occuperete solamente dello nostro denaro.”
— “Io me ne disobbligherò colla soddisfazione, come ogni banchieri, di stimolare la prosperità comune.”
— “Signor Martin, vi costruiremo una dimora degna di voi. Nel fra tempo, vi possiamo installare nell’edificio che serve alle nostre riunioni pubbliche?”
— “Molto bene, amici miei. Ma incominciamo a sbarcare tutto ciò che sono riuscito a salvare dal naufragio: una piccola pressa, della carta e soprattutto un piccolo barile che tratterete con molto cura.” Si sbarca tutto. Il piccolo barile intriga la curiosità della nostra brava gente.
— “Questo barile, dichiara Martin, è un tesoro senza pari. È pieno d’oro!”
Pieno d’oro! Cinque anime mancarono di sprigionarsi da cinque corpi. Il dio della civiltà entrato nell’Isola dei Naufraghi. Il dio giallo, sempre nascosto, ma potente, terribile, di cui la presenza o l’assenza o i minimi capricci possono decidere della vita di 100 nazioni!
— “Dell’oro! Signor Martin, vero grande banchiere! Ricevete i nostri omaggi ed i nostri giuramenti di fedeltà.”
—- “Dell’oro per tutto un continente, miei amici. Ma non è l’oro che deve circolare. Bisogna nascondere l’oro: l’oro è l’anima di tutto il denaro sano. L’anima deve restare invisibile. Io vi spiegherò tutto ciò quando vi darò il denaro.”

7. Un seppellimento senza testimone

Prima di separarsi per la notte, Martin gli rivolge un’ultima domanda: “Per incominciare, di quanto denaro avreste bisogno sull’Isola, per facilitare i vostri scambi?” Si guardano. Consultano umilmente lo stesso Martin. Con le suggestioni del benevolo banchiere si conviene che $200 per ognuno paiono abbastanza per incominciare. Appuntamento fissato per domani sera. Gli uomini si ritirano, scambiano tra di loro, riflessioni commosse, vanno a dormire tardi, s’addormentano bene soltanto verso il mattino, dopo avere a lungo sognato d’oro ad occhi aperti. Martin, lui, non perde tempo. Dimentica la sua stanchezza per non pensare che al suo avvenire di banchiere. Allo spuntare del giorno scava un fosso e rotola il barile dentro, lo copre di terra, lo dissimula con dei ciuffi d’erba accuratamente posti, vi trapianta un piccolo arbusto per nascondere ogni traccia. Poi egli mette in moto la sua piccola pressa, per stampare mille biglietti da un dollaro. Vedendo i biglietti uscire della pressa, tutti nuovi, sogna in se stesso:
— “Come sono facili da fare questi biglietti! Essi prendono il loro valore dai prodotti che serviranno a comprare. Senza prodotti, i biglietti non varrebbero nulla. I miei cinque ingenui clienti non pensano a ciò. Essi credono che è l’oro che garantisce i dollari. Io li tengo per la loro ignoranza!”
Quando arriva la sera, i cinque si riuniscono presso Martin.

8. A chi il denaro fatto di fresco?

I cinque mucchietti di biglietti erano là, sul tavolo.
— “Prima di distribuirvi questo denaro, disse il banchiere, bisogna intendersi.” “Il denaro è basato sull’oro. L’oro, collocato nella volta della mia banca, è mio. Dunque il denaro è mio … Oh! Non siate tristi. Io vi presterò questo denaro e voi l’userete a vostro piacere. In attesa, io non vi carico che gli interessi. Visto che il denaro è raro sull’Isola, essendo che non ce n’è affatto, io credo di essere ragionevole, domandandovi solo un piccolo interesse dell’otto per cento.”
— “In effetti, Signor Martin, voi siete molto generoso.”
— “Un ultimo punto, miei amici. Gli affari sono gli affari, anche tra grandi amici. Prima di toccare il suo denaro, ognuno di voi, firmerà questo documento: c’è l’impegno per ognuno di voi di rimborsare capitale ed interessi, pena la confisca delle vostre proprietà. Oh! Una semplice garanzia. Io non tengo per nulla ad avere mai le vostre proprietà, io mi contento del denaro. Io sono sicuro che voi conserverete i vostri beni e che mi restituirete il denaro.”
— “È pieno di buon senso, Signor Martin. Noi raddoppieremo d’ardore al lavoro e vi rimborseremo tutto.”
— “Va bene. E tornate a trovarmi ogni qual volta che avrete dei problemi. Il banchiere è il migliore amico di tutti… Adesso, ecco ad ognuno i suoi 200 dollari.”
Ed i nostri cinque uomini se ne vanno contenti, la testa e le mani piene di dollari.

9. Un problema d’aritmetica

Il denaro di Martin ha circolato nell’Isola. Gli scambi si sono moltiplicati, semplificandosi. Tutti si rallegrano e salutano Martin con rispetto e gratitudine. Frattanto, Tommaso, l’ingegnere, è inquieto. I suoi prodotti sono ancora sotto la terra. Non ha più in tasca che qualche dollaro. Come potrà rimborsare alla prossima scadenza il banchiere? Dopo aver ragionato a lungo sul suo problema individuale, Tommaso considera questo socialmente: “Considerando la popolazione dell’Isola tutta intera, pensa, siamo noi in grado di mantenere i nostri impegni ? Martin ha fatto una somma totale di $1,000. Egli domanda una somma di $1,080. Anche se prendessimo tutto il denaro dell’Isola per portarglielo, arriveremmo a $1,000 e non $1,080. Nessuno ha stampato gli $80 in più. Noi facciamo prodotti, non dollari. Martin potrà dunque sequestrare tutta l’Isola, poiché noi tutti insieme, non possiamo restituire capitale ed interessi.
“Quelli che sono capaci rimborseranno i loro dollari, senza preoccuparsi degli altri, molti caderanno subito, altri sopravviveranno. Ma, il turno degli altri verrà ed il banchiere prenderà tutto. Dunque sarà meglio mettersi insieme immediatamente e regolare quest’affare socialmente.” Tommaso non ha difficoltà a convincere gli altri che Martin li ha imbrogliati. Tutti si danno appuntamento presso dal banchiere.

10. Benevolenza del banchiere

Martin indovina il loro stato d’animo, ma fa buona faccia. L’impetuoso Francesco presenta il caso: 
— “Come possiamo noi portarvi $1,080 quando non ce n’è che $1,000 in tutta l’Isola?”
— “È l’interesse, miei buoni amici. Non è la vostra produzione aumentata?”
— “Si, ma, il denaro, lui, non è aumentato. Ora, c’è giustamente del denaro che voi reclamate e non dei prodotti. Voi solo potete fare del denaro. Ora voi non avete fatto che $1,000 e ne domandate $1,080. Questo è impossibile!”
— “Aspettate, miei amici. I banchieri sono coscienziosi e si adattano sempre alle esigenze della comunità… Io non vi domanderò che l’interesse. Niente di più degli 80 dollari. Voi continuerete a tenere il capitale.”
— “Voi ci abolite i nostri debiti?”
— “No, mi dispiace, ma un banchiere non rimette mai un debito. Voi mi dovete ancora tutto il denaro prestato. Ma voi non mi rimetterete ogni anno che l’interesse. Se voi siete assidui nel pagare l’interesse, io non vi incalzerò per il rimborso del capitale. Alcuni di voi potranno avere difficoltà a pagare persino il loro
interesse, poiché il denaro va da una persona all’altra. Allora organizzatevi come una nazione e fondate un sistema fiscale. Ciò significa imporre tasse. Voi tasserete di più quelli che avranno più denaro, e gli altri meno. L’importante è che voi paghiate collettivamente il totale dell’interesse, io sarò soddisfatto e la vostra nazione andrà bene.” I nostri uomini rincasano metà calmati e metà pensierosi.

11. L’estasi di Martin Golden

Martin è solo. Qualche minuto di raccoglimento. Egli conclude: “Il mio affare è buono. Buoni lavoratori, questi uomini, ma ignoranti. La loro ignoranza e fiducia fanno la mia forza. Essi volevano del denaro, io gli ho passato delle catene. Essi mi hanno coperto di fiori, mentre io li ingannavo. “Oh! grande banchiere, io sento il tuo genio impadronirsi dei mio essere. Tu lo hai ben detto, illustre maestro: «Che mi sia accordato il controllo del denaro di una nazione ed io m’infischio di chi fa le sue leggi.» Io sono il padrone dell’Isola dei Naufraghi, perché ho il controllo del suo sistema monetario. “Io potrei controllare un universo. Ciò che faccio qui, io, Martin Golden, lo posso fare nel mondo intero. Che io esca, un giorno, di questa Isola: so come governare il mondo senza bisogno di uno scettro.” E tutta la struttura del sistema bancario sorge nello spirito lietissimo di Martin.

12. Crisi di carovita. 

Frattanto, la situazione peggiora sull’Isola dei Naufraghi. Anche se aumenta la produttività, gli scambi diminuiscono. Martin pretende sempre più regolarmente i suoi interessi. Bisogna preoccuparsi di mettere denaro da parte per lui. E ce n’è poco in circolazione. Quelli che pagano più tasse gridano contro gli altri e aumentano i loro prezzi . I più poveri, che non pagano tasse, gridano contro il costo della vita troppo caro e comprano meno. Il morale diminuisce, la gioia di vivere se ne va. Non si ha più cuore al lavoro. I prodotti si vendono male; e quando si vendono, bisogna usarli per pagare le tasse per Martin. La gente si priva di tutto ormai. È la crisi. Ed ognuno accusa il suo vicino di essere la causa della vita sempre più cara. Un giorno, Enrico, riflettendo nel mezzo del suo frutteto, conclude che il “progresso” apportato dal sistema monetario del banchiere, ha rovinato tutto nell’Isola. Certamente, i cinque uomini hanno i loro difetti; ma il sistema di Martin alimenta il peggio della natura umana. Enrico decide di far riflettere i suoi compagni sulla situazione. Incomincia da Giacomo. Subito fatto: “Eh! dice Giacomo, non sono affatto sapiente, io; ma è da molto tempo che io me ne sono convinto: il sistema di quel banchiere è più putrido del letame della mia stalla della scorsa primavera!”
Tutti si convincono l’uno dopo l’altro, ed un nuovo incontro con Martin è deciso.

13. Presso il fabbro di catene

Ci fu una vera tempesta presso il banchiere:
— “Il denaro è raro sull’Isola, Signor Martin, perché voi ce lo togliete. Vi paghiamo, vi paghiamo, e vi dobbiamo ancora più di prima. Lavoriamo, facciamo le terre più belle, ed ecco che siamo più mal presi di prima che voi arrivaste. Debito! Debito! Debito fin sopra i capelli!”
— “Orsù! miei amici, ragioniamo un po. Se le vostre terre sono più belle, è grazie a me. Un buon sistema bancario è il più bel attivo per un paese. Ma per approfittarne bisogna, prima di tutto conservare la fiducia nel banchiere. Venite a me come ad un padre… Voi volete altro denaro? Molto bene. Il mio barile d’oro vale molte volte mille dollari… Tenete, io ipotecherò le vostre nuove proprietà e vi presterò immediatamente altri mille dollari.”
— “Ancora più di debiti? Ancora più interessi da pagare ogni anno, e che non finiranno mai?
— “Si, ma, io ve ne presterò ancora altrettanto perché voi possiate aumentare la vostra ricchezza fondiaria; e voi non mi restituirete che l’interesse. Voi accumulerete i prestiti, li chiamerete: debito consolidato. Debito che potrà aumentare di anno in anno. Ma aumenterà anche il vostro reddito. Grazie ai miei prestiti, voi svilupperete il vostro paese.”
— “Allora, più il nostro lavoro farà produrre l’Isola, più il nostro debito totale aumenterà?”
— “Come in tutti i paesi civilizzati, il debito pubblico è un barometro della prosperità.”

14. Il lupo mangia gli agnelli

— “Questo è quello che voi chiamate denaro sano, Signor Martin? Un debito nazionale divenuto necessario ed inestinguibile, tutto questo non è sano, è malsano.”
— “Signori, ogni denaro sano deve essere basato sull’oro e deve uscire dalla banca allo stato di debito. Il debito nazionale è una buona cosa: esso mette i governi sotto la saggezza incarnata nei banchieri. E come ogni buon banchiere, io sono una fiaccola di civiltà nella vostra Isola.”
— “Signor Martin, noi non siamo che degli ignoranti, ma noi non vogliamo affatto quella civiltà. Noi non prenderemo più a prestito un solo soldo da voi. Denaro sano o non sano, noi non vogliamo più fare affari con voi.”
— “Mi dispiace questa decisione goffa, Signori. Ma, se rompete il contratto con me, io ho le vostre firme. Rimborsatemi immediatamente tutto, capitale e interessi.”
— “Ma, questo è impossibile, Signore. Anche restituendovi tutto il denaro dell’isola, non saremmo comunque liberi.”
— “Io non posso farci niente. Avete voi firmato, si o no? Si! Ebbene, in virtù della santità dei contratti, io sequestro tutte le vostre proprietà ipotecate, come convenuto tra noi, al tempo in cui eravate cosi contenti di avermi. Voi non volete servire con le buone la potenza del denaro, voi la servirete con la forza. Voi continuerete a sfruttare l’Isola, ma per me e alle mie condizioni. Andate. Io vi darò i miei ordini domani.”

15. Il controllo del giornali

Martin sa che colui che controlla il sistema ‘monetario di una. nazione, controlla questa nazione. Ma lui sa anche, che, per mantenere questo controllo bisogna mantenere il popolo nell’ignoranza e distrarlo con altre cose. Martin ha notato che, tra i cinque uomini, due sono conservatori et tre sono liberali. Lo ha notato dalle conversazioni dei cinque, la sera, soprattutto da quando sono diventati suoi schiavi. E il perfido Martin farà di tutto per aumentare le loro divisioni politiche. Di quando in quando, Enrico, meno partigiano, suggerisce un accordo fra gli elettori, per meglio risolvere insieme, una situazione che produce danni per tutti… ma l’unità dei cittadini del villaggio è molto pericolosa per la dittatura. Martin si applicherà dunque per inasprire le loro discordie politiche il più possibile. Si serve della sua piccola pressa per pubblicare due foglietti settimanali: “Il Sole” per i rossi; “La Stella” per i blu. “Il Sole”, in sostanza dice: Se voi non siete più padroni nel vostro paese, è a causa di questi arretrati dei blu, sempre attaccati ai grossi interessi. “La Stella” dice in sostanza: Il vostro debito nazionale è opera dei maledetti rossi, sempre pronti a qualsiasi avventura politica.
E i nostri due gruppi politici litigano sempre di più, dimenticando il vero fabbro di catene, il controllore del denaro, Martin.

16. Un relitto prezioso

Un giorno, Tommaso, l’ingegnere, scopre, incagliata nel fondo di un ansa, alla fine dell’Isola e nascosta da alte erbe, una scialuppa di salvataggio, senza remi, ma insieme a pochi altri oggetti inservibili una cassa ben conservata. Egli apre la cassa: trova solo pochi stracci e qualche altre cose ma la sua attenzione si ferma su un libro-album intitolato: “Primo Anno Verso il Domani” Curioso, il nostro uomo si siede e apre questo libro. Egli legge. Egli divora. S’illumina e ad un certo punto esclama “ecco ciò che avremmo dovuto sapere da molto tempo.” Il denaro non trae affatto il suo valore dall’oro, ma dai prodotti che il denaro compra.
“Il denaro può essere una semplice contabilità i crediti passano da un conto all’altro secondo le compre e le vendite. Il totale del denaro è in rapporto con il totale della produzione.
“Ad ogni aumento della produzione, deve corrispondere un aumento equivalente del denaro… Mai interesse da pagare sul denaro in circolazione… Il progresso non è rappresentato, da un debito pubblico, bensì da un dividendo uguale per ciascuno… I prezzi regolati secondo il potere di acquisto per un coefficiente dei prezzi…
Il Credito Sociale…”
Tommaso non si tiene più dall’entusiasmo. Si alza e corre con il suo libro a fare partecipi della sua splendida scoperta i suoi quattro compagni.

17. Il denaro, semplice contabilità

E Tommaso si installa professore: “Ecco, dice egli, quello che avremmo potuto fare, senza il banchiere, senza oro, senza firmare alcuno debito. “Io apro un conto al nome di ciascuno di voi. A destra, i crediti, che fa aumentare il vostro conto; a sinistra, i debiti, che lo fa diminuire.
“Noi volevamo ciascuno $200 per cominciare. Di comune accordo, decidiamo d’iscrivere per ognuno un credito di 200. Ciascuno ha immediatamente $200.
“Francesco compra da Paolo dei prodotti per $10. Io tolgo a Francesco 10, gli resta 190. Aggiungo 10 a Paolo, ha adesso 210.
“Giacomo compra da Paolo per $8. Tolgo 8 a Giacomo, gli resta 192, mentre Paolo, lui sale a 218.
“Paolo compra legna da Francesco $15. Io tolgo 15 a Paolo, resta con 203; aggiungo15 a Francesco che risale a 205.
“E cosi di seguito; da un conto all’altro, tutto come i dollari di carta vanno da una tasca all’altra.
“Se qualcuno di noi ha bisogno di denaro per aumentare la sua produzione, si apre il credito necessario per lui, senza interesse. Egli rimborsa il credito una volta venduta la produzione. La stessa cosa per i lavori pubblici. “Si aumentano periodicamente anche i conti di ciascuno di una somma addizionale, senza togliere niente a nessuno, in corrispondenza al progresso sociale. Questo è il dividendo nazionale. Il denaro è cosi uno strumento di servizio.

18.Disperazione del banchiere

Tutti hanno compreso. La piccola nazione è diventata creditista. L’indomani, il banchiere Martin riceve una lettera firmata dai cinque:
“Signore, voi ci avete indebitati e sfruttati senza alcuna necessità. Noi non abbiamo più bisogno di voi per reggere il nostro sistema monetario. Noi avremo ormai tutto il denaro che ci bisogna, senza oro, senza debito, senza ladro. Noi stabiliamo immediatamente nell’Isola dei Naufraghi, il sistema del Credito Sociale. Il dividendo nazionale sostituirà il debito nazionale.
“Se voi tenete al vostro rimborso, noi possiamo rimettervi tutto il denaro che avete fatto per noi, non di più. Voi non potete reclamare quello che non avete fatto.” Martin è in disperazione. È il suo impero che crolla. I cinque diventati creditisti, il mistero del denaro o del credito non esiste più per loro.
“Cosa fare? Pensa Martin. Chiedere loro perdono, diventare come loro? Io, banchiere, fare questo?.. Assolutamente no! Io cercherò piuttosto di non aver bisogno di loro e di vivere in disparte.”

19. Soperchieria scoperta

Per proteggersi contro ogni eventuale futura richiesta, i nostri uomini hanno deciso di far firmare dal banchiere un documento attestando che egli possiede ancora tutto quello che aveva arrivando nell’Isola e quindi si procede a fare l’inventario generale: la barca, la piccola pressa e… il famoso barile d’oro. Bisognò che Martin indichi il luogo per poter dissotterrare il barile. I nostri uomini lo tirano fuori dal buco, con molto meno rispetto questa volta. Il Credito Sociale ha insegnato loro a disprezzare il feticcio dell’oro. L’ingegnere, alzando il barile, trova che per essere dell’oro, non pesa poi molto: “Io ho molti dubbi che questo barile sia pieno d’oro.” L’irruento Francesco non esita più. Un colpo d’accetta ed il barile rivela il suo contenuto: di oro, neanche una oncia! Pietre niente altro che volgari pietre senza valore!…
I nostri uomini fanno fatica a crederci !
— “E pensare che egli ci ha imbrogliati a questo punto, il miserabile! Quanto siamo stati creduloni. Ma come abbiamo fatto a cadere così in estasi di fronte alla solo parola: ORO!”
— “ E noi abbiamo ipotecato tutte le nostre proprietà per avere dei pezzi di carta senza valore basati su quattro palate di pietre ! Ladro e bugiardo.”
— “E pensare che noi abbiamo litigato e ci siamo odiati per mesi e mesi per una
tale truffa ed a causa di questo dannato demonio!”
Francesco non fece in tempo ad alzare l’accetta che il banchiere partiva verso
la foresta a tutta velocità.

mercoledì 21 dicembre 2011

Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale

L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portato l'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione.

di Andrea Degl'Innocenti - 13 Luglio 2011


Una rivoluzione silenziosa è quella che ha portato gli islandesi a ribellarsi ai meccanismi della finanza globale e a redigere un'altra costituzione
Cascata IslandaOggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.
L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.
Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud dell'immensa Groenlandia.
15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.

La Landsbanki fu la prima banca a crollare e ad essere nazionalizzata in seguito al tracollo del conto IceSave
LandsbankiCosì, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.
Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.
A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.
Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.

I cittadini islandesi non erano disposti ad accettare le misure imposte per il pagamento del debito.
ProtesteSi trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo.
Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.
Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.
La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.

I Cittadini islandesi hanno votato per eleggere i membri del Consiglio costituente
Costituzione IslandaA marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.
In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').
Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.
Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. "Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet".

Quarto StatoL'Islanda ha riaffermato il principio per cui la volontà del popolo sovrano deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale
Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.
Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.
Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?